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In ottemperanza alla legge Bossi-Fini il questore di Trento, Angelo Caldarola, dà avvio ad un’azione anticrimine di controllo sull’immigrazione abusiva. L’operazione vede le pattuglie dei Nuclei Prevenzione Anticrimine di Padova affiancare quelle della Squadra Volante della Polizia e del Reparto Radiomobile dei Carabinieri stanziate a Trento. È l’occasione per osservare e comprendere in quali atti pratici si traduca la volontà del legislatore e quali siano le situazioni concrete su cui questi provvede ad intervenire.

In questo panorama le esperienze maturate nelL’obiettivo fotografico rivela una realtà che complica le idee, formatesi a riguardo, nel senso comune: chi è perseguitato da chi?

La quiete del vivere civico è minacciata dalle attività criminali di chi, come un’ombra, popola le nostre strade; esseri umani senza la dignità giuridica della cittadinanza sono perseguiti da leggi liberticide: queste due risposte si scontrano in un senso comune sempre più lacerato e diviso. Davanti ai nostri occhi si presentano figure che sembrano compiere azioni sproporzionate, contraddittorie. Da un lato forze di polizia, professionalità e competenze pronte ad operazioni coordinate e complesse, impegnate infine in una verifica burocratica di incartamenti e documentazioni; dall’altro esseri umani che vengono trattati da criminali per quegli stessi documenti. In entrambe i casi suona stridente lo svuotamento di senso delle parole con cui riconosciamo l’identità dei soggetti: esseri umani da un lato, forze anti-crimine dall’altro. Non assistiamo a retate antidroga, o contro lo sfruttamento della prostituzione: la parola crimine è privata della sua accezione consueta, e così l’attività stessa delle forze dell’ordine. Non vediamo persone fermate per lo svolgimento di attività criminali ma semplici esseri umani sospettati preventivamente di essere anche altro. Entrambi sembrano vittime di un’ossessione che li costringe a compiere gesti forzati, improvvisamente inspiegabili rispetto a quella che riconosciamo come normalità, la consuetudine dei significati.

Le parole “crimine” ed “essere umano” sono ugualmente piegate ad un nuovo cliché che le svilisce brutalmente, trasferendo ogni loro significato a quei freddi e pesanti casellari della burocrazia, dove l’unico concetto a venir riempito è quello della nostra impaurita confusione.

Come le parole, che cercano di definire la realtà, le immagini vogliono spingere a sentire l’urgenza di recuperare fiducia negli atti con cui conosciamo la realtà e le attribuiamo significato, per non cadere vittime di quei cliché che ci obbligano ad agire come burattini legnosi ed inconsapevoli, prima di doversi svegliare dall’incanto e scoprire che siamo stati fautori del nostro stesso incubo.